Seconda edizione di
un testo oramai “classico” nella immaginaria biblioteca
sottoculturale italiana.
Il mio approccio a
questo testo è stato viziato dalla precedente lettura di “Ordigni”
che considero un vero e proprio capolavoro e che ha, almeno
inizialmente, sminuito la valenza di “Skinhead”.
A prescindere dalle
inevitabili differenze, “Skinhead” è un testo scritto da uno
skin per gli skins. Quasi autobiografico, mai divulgativo, mai
nozionistico e, solo in piccola parte, “movimentista”.
“Skinhead” cerca
di analizzare il fenomeno della sottocultura skinhead nelle sue
tensioni e contraddizioni, nelle sue emozioni e incomprensioni, nei
sogni e nelle delusioni… il tutto condito da dentro ma con quel
minimo di distacco che lo rende incredibilmente oggettivo ed
interessante.
Sarebbe facile
catalogare questo libro come un testo “only for...” ma l’analisi
sarebbe fallace. Non si celebra ma si cerca di analizzare i vari
momenti storici che una sottocultura vive e digerisce, le sue crisi,
i rapporti con i media e con la società “ordinaria” che la
circonda.
“Skinhead” ha
comunque un merito indiscutibile, toglie l’ambiguità al culto e
riconduce l’essere skin al senso di appartenenza a quel mondo
working class, sicuramente stereotipato ma altrettanto sicuramente
fiero e puro nelle sue origini, nei suoi ideali, nel suo stile e
nella sua musica.
Senza la working
class non esisterebbe il culto skinhead, senza generazioni di giovani
disoccupati pieni di energia e pochi soldi non si sarebbe creato il
mito, senza l’incontro tra la cultura nera e la corrispondente
scolorita non si sarebbe creato uno stile originale e facilmente
identificabile, senza l’amore per la musica ed il divertimento non
si sarebbe preservato un gusto estetico unico ed infine, senza la
consapevolezza del senso di appartenenza, del non essere soli contro
un mondo sbagliato, non mi sarei trovato oggi ad informarmi ed a
leggere con piacere la storia di una delle sottoculture più
affascinanti partorite dalla vecchia Europa.
Naturalmente il
testo è anche altro, ci sono aneddoti, scazzi, l’avvento del
neonazismo e l’uso mediatico falso e denigratorio del termine
nazi-skin, si parla dei raduni, dei concerti, dei rapporti storici ma
anche personali con il punk, della Giamaica, del soul e della musica
nera in generale.
Simpatico, almeno
per chi scrive, è anche l’excursus storico sulle sottoculture
minoritarie, elette a precursori del culto per eccellenza, dai Teddy
Boys, ai Mods, ai Rude Boys e via narrando…
Un altro punto di
forza, l’ultimo per chi scrive, è l’incredibile bibliografia e
discografia sull’argomento, un vero pozzo dove attingere a piene
mani nel ricostruire le gesta di generazioni che, a modo loro, hanno
cambiato il corso della storia, la nostra naturalmente.
Joe
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