SKINHEAD – Riccardo Pedrini (Nda press – 2004)



Seconda edizione di un testo oramai “classico” nella immaginaria biblioteca sottoculturale italiana.
Il mio approccio a questo testo è stato viziato dalla precedente lettura di “Ordigni” che considero un vero e proprio capolavoro e che ha, almeno inizialmente, sminuito la valenza di “Skinhead”.
A prescindere dalle inevitabili differenze, “Skinhead” è un testo scritto da uno skin per gli skins. Quasi autobiografico, mai divulgativo, mai nozionistico e, solo in piccola parte, “movimentista”.
“Skinhead” cerca di analizzare il fenomeno della sottocultura skinhead nelle sue tensioni e contraddizioni, nelle sue emozioni e incomprensioni, nei sogni e nelle delusioni… il tutto condito da dentro ma con quel minimo di distacco che lo rende incredibilmente oggettivo ed interessante.
Sarebbe facile catalogare questo libro come un testo “only for...” ma l’analisi sarebbe fallace. Non si celebra ma si cerca di analizzare i vari momenti storici che una sottocultura vive e digerisce, le sue crisi, i rapporti con i media e con la società “ordinaria” che la circonda.
“Skinhead” ha comunque un merito indiscutibile, toglie l’ambiguità al culto e riconduce l’essere skin al senso di appartenenza a quel mondo working class, sicuramente stereotipato ma altrettanto sicuramente fiero e puro nelle sue origini, nei suoi ideali, nel suo stile e nella sua musica.
Senza la working class non esisterebbe il culto skinhead, senza generazioni di giovani disoccupati pieni di energia e pochi soldi non si sarebbe creato il mito, senza l’incontro tra la cultura nera e la corrispondente scolorita non si sarebbe creato uno stile originale e facilmente identificabile, senza l’amore per la musica ed il divertimento non si sarebbe preservato un gusto estetico unico ed infine, senza la consapevolezza del senso di appartenenza, del non essere soli contro un mondo sbagliato, non mi sarei trovato oggi ad informarmi ed a leggere con piacere la storia di una delle sottoculture più affascinanti partorite dalla vecchia Europa.
Naturalmente il testo è anche altro, ci sono aneddoti, scazzi, l’avvento del neonazismo e l’uso mediatico falso e denigratorio del termine nazi-skin, si parla dei raduni, dei concerti, dei rapporti storici ma anche personali con il punk, della Giamaica, del soul e della musica nera in generale.
Simpatico, almeno per chi scrive, è anche l’excursus storico sulle sottoculture minoritarie, elette a precursori del culto per eccellenza, dai Teddy Boys, ai Mods, ai Rude Boys e via narrando…
Un altro punto di forza, l’ultimo per chi scrive, è l’incredibile bibliografia e discografia sull’argomento, un vero pozzo dove attingere a piene mani nel ricostruire le gesta di generazioni che, a modo loro, hanno cambiato il corso della storia, la nostra naturalmente.

Joe

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