“I Gronge sono quelli che hanno partorito
nell’arco di una decina d’anni centinaia di esibizioni live, prodotto 6 vinili
e un cd (tecnopunkabaret) che finiva per
diventare capostipite di un vero e proprio genere art noise punk electro rock,
teatral grottesco. I Gronge sono decine di musici, attori improvvisati e non,
video maker, poeti e varie tipologie umane. “
(incipit da https://gronge.bandcamp.com/)
|Cikuta magazine|
Il nome della band deriva, in slang romanesco, da un pugile
che sul ring appare “suonato” ma che ha ancora in serbo il colpo del ko.
Tra le varie produzioni il CD “Teknopunkabaret” è, al tempo
stesso, manifesto programmatico, epitaffio definitivo e testimonial d’intenti.
Il progetto Gronge, forse unico tentativo in Italia andato a
buon fine di ensamble aperto in ambito new have-industrial-punk , ha visto tra
gli anni 80 e 90 ruotare oltre venti musicisti intorno alle figure di Marco
Bedini e Maurizio Bozzao ( e Tiziana Lo Conte per un ampio periodo) ed è
arrivato sano e salvo sino ad oggi in un andirivieni energetico ed artistico
ineguagliabile come longevità creativa.
Credo si capisca abbastanza che ciò che gira attorno a
“Gronge” mi piace in modo insistente e che nastri, synth, chitarre, proclami,
locandine e video hanno dato, nel tempo, una caratterizzazione che definire
eclettica non rende merito all’impegno artistico dei nostri.
Teknopunkabaret, dicevamo, esce nel 1993 su compact disc ed
etichetta “Interbeat/Wea”.
La copertina rosso fuoco con logo stradaiolo stilizzato
della band lo rende, graficamente, vicino ai territori solcati in tempi non
sospetti dai Franti prima e dalle Officine Schwartz poi e rappresenta un
marchio di fabbrica per sempre riconoscibile nel variegato mondo antagonista
romano prima, ed Italiano di conseguenza.
“Io mi chiamo Giovanni Trapattoni” è la hit incontrastata
dell’album, pop-wave-industrial di una aggressività delicata e pungente che
rasenta la perfezione assoluta, un tormentone senza tempo, la celebrazione del
totem assoluto, il calcio, e di uno dei suoi messia universalmente
riconosciuti, il Trap.
Registrato e mixato a Roma (Joe De Luca sugli scudi)
“Teknopunkabaret” vede altri 8 pezzi tra i quali spiccano, a livello di gusto
personale, “Fatti crescere i capelli” e “Il pugile sentimentale”.
Quello che però è incredibile è la marea di suoni,
percezioni, emozioni, spunti e idee che convogliano nello spirito dell’album.
Si spazia dai suoni campionati e sintetizzati, alle chitarre
elettriche suonate “punk”, al Rebab (strumento a corde afgano), al flauto dello
zampognaro, a strumenti tradizionali Pakistani, turchi ed indiani fino ad
arrivare ai suoni di un cellulare giocattolo.
Un concept per il nuovo millennio, un parto elettrizzante,
ibrido, violentemente e soffusamente bastardo.
Teknopunkabaret rappresenta un punto di arrivo concettuale,
un embrione centrifugato di idee ed emozioni in parto perenne, un oggetto non
identificato che, semplificando, possiamo definire capolavoro.
|Mig|